Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto, porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie.
Paulo Coelho
Da quando nasciamo ogni esperienza che viviamo si può trasformare in una opportunità per imparare qualcosa e quindi crescere ed evolvere…
Nella nostra infanzia però accade che ci siano esperienze che percepiamo come una minaccia e che quindi produrranno nella nostra coscienza una particolare sofferenza che registriamo come ferita emozionale…
Da bambini, per garantirci il soddisfacimento dei nostri bisogni di nutrimento, protezione, accudimento e affetto, attiviamo un istintivo attaccamento verso i nostri genitori.
Di conseguenza è proprio durante la prima infanzia che sviluppiamo la paura di perdere questa relazione che ha il potere di garantirci la vita.
Basandosi su queste osservazioni, negli anni ’90 vengono individuate, dallo psichiatra e psicologo greco John Pierrakos, le cinque ferite dell’anima e le loro corrispettive maschere.
Secondo questa teoria siamo noi che scegliamo di incarnarci in un determinato corpo e di inserirci in una certa famiglia proprio per lavorare su queste ferite che ci appartengono in quanto sperimentate e di conseguenza scegliamo dei genitori che in modo inconsapevole riproporranno automaticamente, nei nostri primi anni di vita, questa dinamica.
E sempre a causa di questo motivo, anche diventando genitori, ci relazioneremo differentemente con ciascun figlio in quanto dovremo spesso affrontare ferite differenti.
Questo perché è solo riattivandole che potremo elaborarle e guarirle…
Le generiamo generalmente tra i zero e i sette anni… e la loro sequenza temporale inizia con la ferita del rifiuto per poi seguire con quella dell’abbandono, dell’umiliazione, del tradimento e per ultimo quella dell’ingiustizia…
Generalmente vi è una ferita prevalente che maggiormente ci sfida e con cui dobbiamo confrontarci per tutta la vita mentre le altre quattro possono presentarsi o attivarsi in momenti e contesti diversi con differenti livelli di profondità e di gravità.
Va tenuto presente che talvolta la ferita principale, quella più profonda, è quella meno visibile, perché si nasconde sotto altre più evidenti e superficiali.
Infatti la nostra mente, per evitare di rivivere la sofferenza di quei traumi, innesca dei meccanismi comportamentali istintivi e automatici di protezione chiamate maschere…
Questi imprinting diventando parte strutturante della nostra personalità si esprimeranno in modi di pensare, di parlare, di proporre il corpo, di camminare, di respirare, etc…
Ma, soprattutto nell’età adulta, si riveleranno limitanti in quanto intrappolandoci in modalità relazionali ripetitive e vincolanti ci faranno percepire una irreale vulnerabilità che ci impedirà di relazionarci con gli altri in modo profondo ed autentico.
Queste maschere non si manifestano solo a livello psicologico, ma anche e soprattutto a livello fisico perché non sono altro che la somatizzazione fisica della ferita non risolta e il loro spessore risulterà proporzionale al grado della ferita.
Infatti anche se nel corso degli anni il nostro corpo cambia, questi cambiamenti non sempre sono solo dovuti al naturale invecchiamento ma dipendono anche dal variare degli stati d’animo. Alcuni di questi diventando prevalenti si cristallizzano portando modifiche al nostro corpo fisico. Di conseguenza nel nostro vissuto racchiudiamo ferite, cicatrici emozionali che anche se hanno un’origine lontanissima e remota, ci rimangono impresse come un codice.
Quindi ad ogni ferita emozionale corrisponderà una specifica maschera visibile soprattutto nei tratti somatici del viso e nella conformazione fisica.
Infatti secondo la morfopsicologia** è possibile interpretare le evoluzioni del nostro aspetto fisico come riflesso della nostra evoluzione interiore.
E quindi ci consente non solo di capire meglio noi stessi e gli altri ma comunicare meglio, instaurare relazioni più gratificanti, riconoscere e realizzare i nostri talenti.
Di conseguenza potremo notare che alla ferita del rifiuto corrisponde la maschera del fuggitivo…
Questa ferita, che è in relazione principalmente con il genitore del proprio sesso,
è profondissima, perché ci si sente respinti in tutto il proprio essere.
Il corpo scompare, occupa poco spazio e la reazione è la fuga…
Si ha difficoltà a incarnarsi, ad occupare il proprio posto nel mondo, ad affermarsi.
Invece alla ferita dell’abbandono corrisponde la maschera del dipendente…
Questa ferita, che si genera dal rapporto con il genitore del sesso opposto, crea dipendenza emozionale e affettiva e predisposizione al vittimismo...
Il fisico è molle in alcune parti e il dipendente, a causa della mancanza di autonomia,
cerca approvazione…
Contrariamente alla ferita dell’umiliazione corrisponde la maschera del masochista…
Questa ulteriore ferita che genera comportamenti inconsci di mortificazione e dolore
si attiva quando un genitore o entrambi si sono vergognati del figlio pubblicamente.
Il bambino sentendosi quindi mortificato, sminuito, degradato e umiliato si metterà a disposizione del prossimo totalmente fino a sminuirsi. Avrà un corpo grasso o tendente a ingrassare.
Alla quarta ferita che è quella del tradimento corrisponde la maschera del controllore…
Si può sviluppare quando il bambino soffre nel non vedere soddisfatti i suoi bisogni affettivi basilari da parte del genitore di sesso opposto. Reagisce con un comportamento controllante che lo porta compulsivamente ad affermare sé stesso. Ricercando ossessivamente la leadership, gli onori e le affermazioni di forza…
Il corpo sarà muscoloso, seduttivo e forte.
Per concludere alla ferita dell’ingiustizia corrisponde la maschera del rigido…
Generata dalla freddezza del genitore dello stesso sesso causa insensibilità e mancata espressività. La maschera inevitabile sarà quella della rigidità, che porterà ad essere intransigenti con sé stessi, celandosi dietro una positività forzata…
Il relativo comportamento sfocerà molte volte nel controllo e nella freddezza.
Il corpo risulterà perfetto, ben proporzionato e curato ma la struttura sarà rigida.
Acquisita questa conoscenza, per tornando a vivere meglio, dobbiamo sanare e superare le paure per le quali queste ferite sono nate, tenendo presente che ci vengono attivate… e quindi è necessario imparare a riconoscerle ed accettarle…
Per identificarle basterà far caso a ciò che non accettiamo negli altri in quanto corrisponde esattamente a quelle parti di noi che non vogliamo vedere.
Inoltre è fondamentale comprendere che quando ci vengono stimolate prende sempre il sopravvento il nostro ego… che ci costringe, deformando la situazione e facendoci credere che la colpa sia di qualcun’ altro, a vivere con paure, sensi di colpa e tristezze…
Di conseguenza inizialmente rivolgeremo risentimento, odio e rancore per il genitore che riteniamo responsabile e poi successivamente lo trasferiremo sulle persone dello stesso sesso.
Ma dato che non esistono persone colpevoli ma solo sofferenti, e i nostri genitori fanno parte di queste, più accusiamo gli altri delle nostre sofferenze, più l’esperienza negativa tenderà a ripetersi…
Accusare quindi serve solo a creare infelicità e smettendo di farlo cominceremo ad accettare le nostre responsabilità e potremo, provando compassione, iniziare a perdonare sia noi stessi che i nostri genitori.
Inoltre riuscendo a non giudicare una persona o una situazione permettiamo a noi stessi di non giudicarci e di accettarci così come siamo…
Dobbiamo prendere coscienza del fatto che tutti i comportamenti associati a una data maschera, sono soltanto delle reazioni di difesa, e non rispecchiano il comportamento che sarebbe in realtà più giusto adottare per il nostro benessere.
Quindi imparando a guardare con compassione la nostra ferita anche gli eventi intorno a noi inizieranno a trasformarsi.
Potremo sminuire i problemi e vederli meno insuperabili perché è proprio la nostra nuova visione che può fare la differenza.
Concludendo dobbiamo trovare la forza per far rimarginare a poco a poco queste ferite in quanto, se non le cicatrizziamo, continueremo a persistere, come in un circolo vizioso, dentro le solite situazioni.
E inoltre, plasmando la nostra personalità, continueranno ad influenzare il modo i cui affrontiamo le avversità; di conseguenza più aspettiamo a risolverle più stimoleremo un circolo vizioso.
Non si tratta di un percorso semplice e rapido, ma quando inizieremo a renderci conto che stiamo reagendo in un particolare modo a causa di una maschera, significa che stiamo cominciando a guarire…
Per velocizzare questo processo di guarigione, è fondamentale
smettere di alimentare le proprie ferite…
non fuggendo più dalle situazioni che ci fanno paura…
Infatti è essenziale provare ad affrontarle e capire quanto le nostre reazioni siano dettate dalle maschere che indossiamo.
A quel punto dovremo perdonarci… e concederci di aver potuto usare una maschera, sapendo che in quel momento credevamo davvero che fosse l’unico modo per proteggerci.
Accettarci e amarci per ciò che siamo è essenziale per capire che la fonte del nostro benessere sta in ciò che siamo e facciamo e quindi, se diventiamo autonomi affettivamente, non cercheremo più sostegno esterno e abbandoneremo la necessità di indossare maschere protettive.
Questo non è altro che un modo per descrivere l’amore per noi stessi…
Concedendo a noi stessi di fare agli altri ciò che temiamo di vivere, ci sarà molto più facile accettare dagli altri i comportamenti che risvegliano le nostre ferite.
Le ferite se non guarite e opportunamente cicatrizzate, facendoci sentire delle vittime, influenzeranno profondamente la nostra esistenza.
Di conseguenza dobbiamo quotidianamente considerare quanto c’è di autentico, spontaneo e naturale nei nostri comportamenti e quanto invece è condizionato, frutto della paura o del giudizio… e con quale maschera abbiamo reagito sia nei confronti degli altri che di noi stessi…
Osservando con compassione, consapevolezza e senza giudizio dove queste ferite ci hanno portato e ci stanno portando… ci potremo rendere sempre più conto che tutti vogliamo essere amati… e se questo non accade, piuttosto… essere temuti, odiati e disprezzati.
*Lise Bourbeau, autrice del libro Le cinque ferite e come guarirle.
** La disciplina che studia le relazioni tra la forma del viso e la conformazione del corpo con la personalità.
ZEN …l’arte di vivere
Il percorso delineato nell’articolo è certamente valido e condivisibile. In sostanza si tratta di divenire consapevoli, attraverso un percorso di presa di coscienza di ciò che ci provoca qualche forma di sofferenza, di quali sono i limiti in cui ci troviamo costretti a causa del nostro tentativo, anche inconsapevole, di sfuggire a quella sofferenza. Come dicevo è un percorso condivisibile, anche se arduo nella sua necessità di prendere spietatamente coscienza e contatto con ciò che ci fa soffrire. Naturalmente, la sua efficacia dipende dalla nostra capacità di affrontare tutta la nostra sofferenza, senza cercare di sfuggire, consapevolmente o meno, nemmeno al più piccolo particolare del nostro soffrire, senza peraltro sconfinare in alcun modo nel masochismo. Esiste tuttavia un altro modo di affrontare la questione: dal profondo del cuore vivere la nostra vita con tutto il nostro essere, senza alcuna riserva. Non importa se quello che incontro lungo la mia strada è bello o brutto, non importa se mi fa soffrire oppure mi rende felice, quello che conta è che tutto di me sia presente nel preciso istante in cui sperimento quell’incontro. Questa presenza “totale” comporta che non esiste più alcuna separazione tra me e la mia esperienza e questo fatto, nell’istante in cui si verifica, mi pone al di là della sofferenza come pure al di là della gioia: mi pone nello stato della pura esperienza. Questo può avvenire solo se la mia presenza è totale ed incondizionata nei confronti di ciò che sperimento qui e adesso, in questo caso, e solo in questo caso, non c’è spazio per il giudizio, non c’è spazio per l’ego e quindi non c’è spazio per la sofferenza o la gioia connessa alla presenza dell’ego. Questo non vuol dire che non cè gioia o sofferenza nella mia vita, ma quando c’è un’esperienza gioiosa la gioia è totale e quando c’è un’esperienza dolorosa il dolore è anch’esso totale. Tuttavia quando l’esperienza gioiosa finisce restano le sue tracce solo nel ricordo e, nello stesso modo, quando l’esperienza dolorosa finisce anche le sue tracce restano solo nel ricordo, non porto con me alcuno strascico, alcuna alterazione al mio equilibrio interiore.
Antonio-Zen
Grazie Christane ❤️